“l Daniel Blake” conquista il pubblico del Festival

trevLa prima sala del Cinema Palma non ce la faceva ad accogliere tutti gli spettatori accorsi per assistere all’anteprima nazionale di “I Daniel Blake”. E così, ieri sera, nella seconda giornata del Trevignano FilmFest, si è dovuto proiettare in contemporanea il film di Ken Loach che ha vinto la Palma d’Oro 2016 a Cannes anche nella saletta da 60 posti. Ma pure così, non essendo possibile aggiungere altre sedie o accogliere spettatori in piedi, una cinquantina di loro, pazientemente in fila, hanno dovuto rinunciare, con l’assicurazione che il film verrà riproposto in prima visione in ottobre, alla sua uscita ufficiale, preceduto e arricchito dalla stessa intervista con saluti al pubblico di Trevignano che il grande regista britannico ci ha concesso.  Daniel, protagonista del film di Loach, è un falegname che in seguito a un attacco cardiaco non può più lavorare e fa quindi richiesta del sussidio di invalidità, che però gli viene negato. All’uscita dal cinema, tanti volti commossi, i più giovani con le lacrime agli occhi. Una storia simile a quella che gli spettatori avevano seguito alcune ora prima, con il film del francese Stéphane Brizé, “La legge del mercato”, sulle vicende di Thierry, interpretato da un Vincent Lindon all’apice della carriera che, dopo aver perso la propria occupazione di operaio si ritrova impiegato in un supermercato a compiere un lavoro ingrato.

Due prospettive diverse sui problemi che affliggono l’odierno mondo del lavoro, di cui è stato ampiamente discusso in un dibattito, moderato da Enrico Cattaneo, con Enrico Pugliese, professore emerito di Sociologia del lavoro all’Università Sapienza di Roma. Pugliese, in particolare, ha analizzato la natura del sistema produttivo messo in scena dal film di Brizè e adottato anche dall’industria automobilistica: «La realtà lavorativa mostrata dal film è quella del “world class manufacturing”: all’operaio – ha sottolineato il professore – si richiede totale subordinazione, una fedeltà e una dedizione all’azienda tali da impedire qualunque forma di solidarietà tra lavoratori. In un sistema di piccoli gruppi guidati da un team leader, il lavoratore deve essere disponibile e subalterno, capace di partecipare alle sorti dell’azienda e di dare suggerimenti utili a incrementare la produttività, trovando sempre le soluzioni più logiche e razionali».

Lavoro ma anche condizione della donna nella giornata di sabato, aperta dal documentario del giornalista Pio d’Emilia e dell’antropologa Francesca Romana Freeman, “Nel nome della madre”, in cui viene dipinto l’universo matriarcale dei Moso, minoranza etnica cinese. Una testimonianza inedita, con risvolti sociali e storico – paesaggistici, delle abitudini delle popolazioni che risiedono nei villaggi attorno al Lago Logu, nella regione cinese dello Yunnah: in questo angolo di mondo è la donna che comanda, non esiste il femminicidio e si educa all’uguaglianza di genere. Intervistato da Luciana Capretti e interrogato a più riprese dal pubblico, il regista ha dichiarato: «Abbiamo rappresentato una società perfettamente integrata nel mondo moderno, dove esiste un sistema di ordine sociale che funziona anche in termini etici, morali e penali. Questa società esclusivamente matriarcale ormai è ridotta a 20 mila persone e sta diminuendo a causa della colonizzazione imposta dal governo cinese». È una piccola realtà matriarcale anche quella della famiglia di “I ragazzi stanno bene”, commedia brillante di Lisa Cholodenko: due mamme lesbiche e due figli adolescenti nati da uno stesso donatore. Di diritto alla famiglia e all’amore tra omosessuali si è parlato con Paola Concia, politica e attivista del movimento LGBT, intervistata dalla giornalista e scrittrice Marida Lombardo Pijola. Immediato il giudizio della Concia sulla pellicola americana: «È un film politicamente corretto e conservatore ma al contempo rivoluzionario: vuole raccontare, infatti, la normalità di una coppia omosessuale con figli ottenuti con l’inseminazione artificiale. Con l’approvazione in Italia della legge sui matrimoni gay le cose certamente cambieranno, non ci sarà più bisogno di film come questo: un matrimonio gay non farà più notizia».

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