D’Amore, Colangeli e l’amianto che uccide

posto2Lunghi e calorosi gli applausi del pubblico per “Un posto sicuro”, film sul caso Eternit presentato nella terza giornata del Trevignano FilmFest. Un film definito, subito dopo la proiezione, “un viaggio” dall’attore Marco D’Amore e “una speranza” dal regista Francesco Ghiaccio, nel dibattito moderato da Maria Concetta Mattei, conduttrice del Tg2. E dopo D’Amore e Ghiaccio, è arrivato al Cinema Palma anche il co-protagonista Giorgio Colangeli. Il “posto sicuro” del titolo (si fa per dire) è Casale Monferrato, una città in cerca di riscatto dopo la drammatica vicenda della fabbrica di amianto “Eternit”. «Sono cresciuto a pochi km da Casale e non sapevo nulla di questa storia – ha confessato, Ghiaccio, regista esordiente, torinese di nascita –  La mia generazione era ignara della pericolosità dell’Eternit: solo nel 2009 sono venuto a conoscenza del caso, a ridosso del rinvio a giudizio del processo. I cittadini di Casale ci hanno trasmesso una grande energia durante il lavoro di ricerca per il film, trasformando il dolore in unione. Non volevamo fare solo un film sull’amianto ma un film di riscatto, e fin da subito abbiamo capito che per loro questo film era uno specchio. Abbiamo voluto mostrare un incontro generazionale: da una parte, con la figura di Luca, l’ignoranza e la rabbia verso il fatto che nel nostro paese non si parla delle miserie, dall’altra, nel personaggio del padre Eduardo si riflette la generazione di chi ha sperato in un posto sicuro come ideale da rincorrere, per ritrovarsi poi disilluso a un certo punto della vita».

Il confronto generazionale rappresentato nel film, di fatto, è raccontato attraverso le parole, gli sguardi, e i ricordi di un padre e di un figlio, interpretati rispettivamente da Colangeli e D’Amore. «Prima di iniziare le riprese del film ho fatto una sorta di “full immersion” a Casale, frequentando insieme a Marco e Francesco i membri dell’associazione “Vittime per l’amianto” – ha dichiarato Colangeli – Il dolore maturato e trattenuto da queste persone ci ha portato a un forte sentimento di solidarietà e impegno». D’Amore, invece, non è stato solo attore, ma anche co-sceneggiatore e co-produttore: «Questo film è nato da un desiderio condiviso, l’abbiamo scritto insieme. I personaggi – ha spiegato – sono partiti da noi e sono la somma di tanti esseri che abbiamo incontrato: girando, riportavo alla mente episodi e momenti di fragilità di persone reali. Non è un film basato sulla performance, ma sul tema, sui rapporti umani: prima di andare sul set non mi preoccupavo dell’interpretazione ma ero concentrato sul personaggio di Luca.  Ci siamo nutriti entrando nelle case della gente, che ci ha chiesto di raccontare o tacere determinate cose legate alla vicenda dell’amianto, come se fosse l’ultima possibilità di lanciare un grido. Tante delle persone che abbiamo conosciuto sono morte pochi mesi fa, è stata un’esperienza arricchente ma molto dura».

La domenica del Trevignano FilmFest, prima, aveva chiamato in causa i diritti della donna in società di stampo patriarcale, tema di due film intensi e commoventi: “Nahid” dell’iraniana Ida Panahandeh, e “Difret” dell’etiope Zeresenay Berhane Mehari, co-prodotto, tra l’altro, da Angelina Jolie. Luciana Capretti e Fabio Ferzetti hanno moderato un incontro con Leyla Karami, studiosa iraniana di teologia femminile nell’Islam, la poetessa eritrea Ribka Sibhatu, e Gemma Vecchio, Presidente dell’associazione “Casa Africa”. Le tre ospiti hanno richiamato l’attenzione del pubblico sull’attuale condizione della donna nei rispettivi paesi d’origine: nel dibattito, infatti, sono state affrontate questioni come il matrimonio temporaneo in Iran, l’educazione non paritaria in Etiopia, e i rischi a cui sono esposte le donne eritree, e non solo, nei viaggi della speranza dall’Africa all’Europa, dalla violenza ad opera dei poliziotti sudanesi o dei militanti dell’Isis alla morte nelle acque nel Mediterraneo. A chiudere la terza giornata della rassegna, infine, la proiezione di “L’ultima parola: la vera storia di Dalton Trumbo” dell’americano Jay Roach, un film che, ripercorrendo la vicenda esistenziale del celebre sceneggiatore vittima della caccia alle streghe durante gli anni del maccartismo, incrocia trasversalmente libertà democratiche, di pensiero e di espressione.

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